Solo qualche tempo fa, mia figlia di 14 anni, Matilde, mi chiese a bruciapelo.

“Babbo, hai fatto per tanti anni il giornalista sportivo, chi sono i più grandi che tu abbia potuto avvicinare, conoscere o vedere in azione?”

Bella domanda, Matilde.

Ti ho risposto in modo generico: non è così facile, dirtelo, su due piedi. Ci penserò e te lo dirò.

Ecco.

Oggi che il mondo dell’atletica piange la scomparsa di Pietro Pastorini, la risposta a mia figlia – da cui lì per lì ero scappato – mi sembra più facile da darle.

Cara Matilde, le dirò, quando muore un uomo che abbiamo conosciuto e apprezzato, spesso finiamo per sperticarci in tutti quegli elogi che, in vita, è probabile che loro non abbiano mai avuto.

Ti faccio un esempio, Matilde.

Se mi chiedessi chi era Pietro Pastorini, ti direi. E’ stato un grande uomo.

Grande nell’impegno e nell’altruismo. Grande nella modestia. Grande nella genialità della sua missione. Ha combattuto una guerra, spesso, senza mai neppure lontanamente immaginare di usare le armi.

E’ stato un grande uomo che ha passato la vita cercando di “togliere dalla strada” i giovani.

E sai come ?

Non metterti a ridere, però. Li metteva sulla strada.

Insegnava loro che la vita sta proprio in questo. Il successo sta nel prendere la giusta direzione, quando ti trovi a un bivio.

Il successo non si misura con i trofei, i premi o i primati.

Questo Pietro Pastorini di cui ti parlo, e che a 87 anni è venuto a mancare, ha portato gli ultimi sul tetto del mondo.

Eppure, secondo me, sai quali sono le gare più importanti che ha vinto, da allenatore?

Quelle in cui ha indicato la direzione giusta, attraverso lo sport, a chi aveva preso la strada sbagliata.

Ma sì, Matilde, potrei dirti che ho conosciuto Baggio, Lasse Viren, Nowitzky, Nadia Comaneci, la Perec, gli Abbagnale …

Ma tra i “campioni” che ho conosciuto, ci metto anche questo Pietro, di cui ti parlo. Un uomo minuto, un gran fumatore, un interlocutore gentile e semplice. Un allenatore del corpo, del cuore, della mente.

Pietro Pastorini era pavese di Lomello e ha messo la sua passione al servizio della formazione dei grandi marciatori italiani. Un impegno straordinario, spesso non limitato al ruolo di un allenatore. Perché Pastorini è stato una specie di missionario laico, partendo dalla periferia delle periferie – come è Quarto Oggiaro – far scoprire a molti ragazzi l’orizzonte. Là dove è possibile scorgerlo solo se qualcuno volenteroso indica dove si deve guardare.

Molti, migliori di me, più ferrati in materia, racconteranno il Pastorini tecnico, con dovizia di particolari e di ragguagli squisitamente legati alla marcia.

Io ebbi modo di conoscerlo come allenatore di Michele Didoni, anno di grazia 1995, anni in cui – diciamolo senza paura – la “piccola” marcia, salvava in termini di medaglie le spedizioni azzurre. Pietro portò Michele a vincere il mondiale da trionfatore.

Francamente ricordo poco delle parole tecniche che Pastorini spese nello specifico. Ricordo di più la sensazione di riscatto morale che quel trionfo trasmise a tanti Didoni dell’hinterland milanese, meno dotati di lui.

Non è retorica dire che Pastorini portasse con sè anche le medaglie “ordinarie” (ma non scontate) conquistate da marciatori diventati artigiani, operai, lavoratori, che tagliarono il traguardo con Didoni che consideravano uno di loro, sentendosi parte della sua impresa.

Allora l’atletica era un mondo capovolto, non mancava qualità al vertice, ma i risultati erano spesso grami. Oggigiorno sembra accada il contrario…

Pietro Pastorini era il classico allenatore che si era fatto da sè.

Lo diceva senza vergogna.

Aveva messo su una società di Quarto Oggiaro che si chiamava Futura. Scrivendolo viene da canticchiare Lucio Dalla.

Le medaglie più pregiate che Pastorini ha vinto sono quelle dei figli di un Dio minore nati da la fine degli anni 50 alla metà degli anni 70 a cuiè riuscito a trasmettere la passione genuina per la fatica, perchè arrivasse loro un messaggio forte e chiaro: un’altra scelta è possibile.

L’impegno di Pastorini lo ha portato a esultare per il trionfo di Didoni, rendere appuntamento distintivo il meeting “Ugo Frigerio”, vedere salire ai vertici altri suoi gioielli come Erika Alfridi o Giovanni Perricelli: successi che gli sono valsi il riconoscimento tecnico e la piena gratitudine del suo settore.

Eppure nei suoi occhi, noi che siamo cresciuti in periferia e abbiamo conosciuto certe “dinamiche” vissute anche da Pietro nel milanese, ci trovavamo una lieve vena malinconica, quasi donchisciottesca, di chi si batteva per il giusto riconoscimento dovuti ai primi, che non si discosta affatto da quello rivolto agli ultimi: impianti all’altezza, finanziamenti adeguati. Per questo ha bussato alle porte del potere, trovandole talvolta chiuse.

Ecco, Pietro, scusa se abbiamo scritto qualcosa di inesatto.

Ci tenevo però a dire che allenatori, educatori, uomini di buona volontà come sei stato tu, si mettono al collo medaglie invisibili che hanno un valore inestimabile.

Sono quelle di chi, da te, si è sentito importante. Considerato. Non discriminato. Non escluso.

La domanda che ci dobbiamo porre: ci sono ancora dei Pietro Pastorini in giro?

Secondo noi, sì.

Come fa quella canzone? Che si intitola “Futura”?

“Chissà, chissà, domani…”

Diego Costa

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